L’aspro appennino solcato dai pietrosi rivi del Bisenzio s’infoca sotto l’obbiettivo di Fiorenzo Fallanti come a misurare una distanza sacra che ci separa, e assieme ci divora, nell’attimo in cui cerchiamo di comprendere la violenta bellezza della natura. Il suo occhio, brutalmente tenero e senza inutili ingombri mentali, s’impietra d’anima nel tentativo di arginare il colossale scroscio del tempo: scagliandoci in una sorta d’improvvisa epifania che ci conduce in luoghi di spirituale primitività, dai quali usciamo forgiati d’un nuovo, profondo stupore.
Così le foto di questo insolito scrutatore, di questo implacabile fabbro del silenzio, altro non sono che un santuario che brucia dentro lo sguardo febbrile del suo autore: uno sguardo che racconta l’eco di una pace lontana e così incredibilmente prossima.
Nelle sue aurore, in quella plumbea nebbia mattutina, nel violento splendore di quel viola incontrastato nell’acciaio della sera, nell’esploso lucore di quelle notti albine si cela la titanica sensibilità di un cantore della fragilità, di una bellezza così antica e abbagliante, da apparire quasi eterna. |